Molti colori ma sempre in nero. Intervista con gli Interpol di “El Pintor”

Il cinema, il nuovo album, il carattere, l’abito nero a cui non rinunciano mai. Quattro chiacchiere con Daniel Kessler, il chitarrista del gruppo più elegante del mondo
Sguardo sicuro, parlantina sciolta, sorriso affabile, Daniel Kessler ci accoglie nell’abito nero “d’ordinanza” degli Interpol, nonostante la temperatura sfiori i 35°, nel giardino lussureggiante con fontana dell’hotel milanese dove lo incontriamo. Vuole parlare solo di musica, dell’album di 10 canzoni secche che lui e i suoi soci newyorkesi hanno voluto chiamare con un anagramma del nome del gruppo (El Pintor, “il pittore”) e che presenteranno il 30 gennaio al Fabrique di Milano.

LA CANZONE MY DESIRE È NATA PROPRIO A MILANO

La sua chitarra la fa da padrone: «È normale, sono io a scrivere l’idea iniziale delle musiche su cui poi lavoro con Paul (Banks, voce e ora anche basso, ndr) e Sam (Fogarino, batteria, ndr). Devo ammettere che stavolta, più che nel precedente omonimo album, mi sono concesso di dare un grande spazio al mio strumento». Ha lavorato molto sul timbro, soprattutto in canzoni come My Desire, che, confessa, «è nata proprio qui a Milano. Cerco sempre di usare chitarre vecchie, anche di 50-60 anni ma che abbiano personalità». La ricerca della personalità è un mantra che ritorna anche quando Kessler racconta di come abbiano scelto le sale prove, volendole innanzitutto poche costose – un’esigenza che può sembrare bizzarra, per una delle band più famose e cool del mondo: «Prima di registrare abbiamo bisogno di suonare molto. Cerchiamo posti economici, perché New York è una città carissima, ma non è questo il punto: possono anche essere sporchi e tutt’altro che “fighetti”, ma devono avere carattere». New York, però, in fondo gli manca: «A tutti noi piace suonare dal vivo, certo. Se a Paul non fosse piaciuto, non credo che avrebbe tenuto più di 200 concerti nell’ultimo tour. Ma New York mi manca perché è casa mia. Mi manca dormire nel mio letto, bere nei miei bicchieri e non nelle bottigliette, cose così. Spesso realizzo quanto mi sia mancata, soltanto dopo che ci sono tornato».

Il titolo dell’album, dice Kessler, «è stata un’idea di Paul. A me piaceva il fatto che El Pintor fosse un anagramma di Interpol e che il termine “pittore” fosse associato a dei suoni». Le immagini (e il cinema) sono sempre state una grande fonte d’ispirazione per la musica degli Interpol. «Vedo sempre tanti film, in qualunque parte del mondo mi venga a trovare».
È una citazione cinematografica anche il discorso in dialetto siciliano alla fine di Breaker 1, nell’ultimo album? «Non posso dirlo, è assolutamente un segreto». Daniel Kessler sorride sornione. Segreto svelato: è parte del discorso del mafioso “sventurateddu” (che si duole di essere stato “sfortunato” nella vita) durante il maxiprocesso di Palermo, nel 1987.
Kessler infila frasi in italiano corretto (è fidanzato da sette anni con la ex vj e attrice Valeria Bilello). Gli resta un delizioso accento anglofono. Spesso, alla fine di una risposta si ferma e chiede: «Ha senso quello che ho detto?».
Dice che non riesce a rinunciare all’abito nero, perché «ho trovato quello che mi fa sentire comodo e non me ne separo più». Prova a difendersi, a suo modo: «Non sono proprio tutto nero, come puoi notare la camicia, in fondo, è… grigia! Paul e Sam si vestono molto più casual quando non suonano. Io no, ma odio lo shopping, non mi interessa proprio. Ha senso quello che ho detto?». Sì ha senso, Daniel.

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